Recensione: Antonio e Cleopatra

 Antonio e Cleopatra di William Shakespeare 

Titolo: Antonio e Cleopatra 

Titolo Originale: Antonio and Cleopatra 

Autore: William Shakespeare 

Genere: Letteratura Inglese-teatrale (classici)

Prezzo Cartaceo: € 10,00

Pagine: 286

Pubblicazione: 5 maggio 2016

Editore: Feltrinelli

Collana: Universale economica. I classici

Valutazione: ⭐⭐⭐

Trama: La illimitata libertà spaziale e temporale (l'azione, che è quella dell'amore fatale di Antonio e Cleopatra, ma anche quella delle lotte tra i triumviri dopo la morte di Giulio Cesare e della nascita dell'Impero, percorre le città, le terre e i mari di tre continenti), la mescolanza di comico e tragico, le trasgressioni sceniche e linguistiche, sono tutti elementi che raggiungono in quest'opera della piena maturità del drammaturgo (la datazione si può collocare intorno a1 1608) il loro vero e proprio apogeo. "Antonio e Cleopatra" è una grande tragedia d'amore, un grande dramma politico ma anche un discorso sull'arte e sull'esperienza artistica.

Recensione: L’opera si apre con Antonio fermo in Egitto presso la seducente regina Cleopatra, per la quale è preso da cieca passione.

Tuttavia il triumviro, venuto a sapere che Pompeo si prepara ad attaccare nuovamente, è suo malgrado costretto a rientrare in patria per fronteggiare la situazione coi colleghi Lepido e Ottaviano.

Per rinsaldare i difficili rapporti con quest’ultimo, si decide di dare in moglie ad Antonio sua sorella Ottavia, il che genera le ire di Cleopatra; tuttavia l’iniziativa si rivela presto fallimentare, poiché la fanciulla non può competere con la regina nel cuore di Antonio.

Egli infatti, tornato in Egitto e dopo averne incoronato se stesso e Cleopatra sovrani, viene in conflitto aperto con Ottaviano.

Lo scontro navale vede però il tradimento della regina d’Egitto, che ritira le sue navi, provocando la netta sconfitta del deluso e disonorato Antonio.

Il triumviro tuttavia la perdona facilmente, così come farà di lì a poco dopo aver visto Cleopatra flirtare con un messaggero di Ottaviano. Cieco al tradimento della sua amata, riprende il conflitto col nemico, che ancora una volta risulta vincitore. Infuriato con la regina per averlo tradito, vuole ucciderla; dunque ella escogita uno stratagemma per muoverlo a pietà: rifugiarsi nel mausoleo e fargli arrivare la notizia della sua morte.

L’esito del piano è però diverso da quello che Cleopatra si aspettava: invece di correre disperato al mausoleo a piangerla, Antonio opta per il suicidio e si fa uccidere da un servo; la regina arriva in tempo solo per vederlo spirare. Successivamente, temendo di doversi prestare al pubblico ludibrio a causa di Ottaviano, Cleopatra si avvelena morendo eroicamente e preservando il suo onore.


A metà tra storia e mito, tra tragedia e commedia (in quanto sono presenti elementi dell’uno e dell’altro genere), quest’opera pone simbolicamente a confronto Roma e Alessandria d’Egitto.
Roma rappresenta il potere, si fonda sulla ragion di stato, incarnata da Ottaviano, e può essere letta in chiave metaforica come una critica alle costrizioni che il potere impone a coloro che se ne occupano. Alessandria rappresenta il trionfo dell’edonismo, fondato sul piacere e sulla bellezza che la bellissima Cleopatra incarna alla perfezione, e si configura come un luogo utopico d’attrazione, interpretabile come un’esaltazione delle naturali pulsioni dell’uomo.
Tra la razionalità e la logica statale di Ottaviano e il desiderio sprizzato dalla seducente femminilità di Cleopatra si pone un Antonio incapace di gestire l’una e l’altra dimensione.
Tirato da ambo le parti e incapace di conciliarle, egli finisce col degradare se stesso: infatti, da un lato viene meno al suo eroismo da condottiero scontrandosi con il suo collega triumviro e disinteressandosi della sua patria minacciata perché preso dalla passione, dall’altro persevera, come accecato, nel non rendersi conto dell’ambiguità della regina egizia, soprassedendo ai suoi tradimenti e giungendo infine all’autodistruzione.
Peraltro, il suo dramma si consuma nell’ignominia, poiché egli non è nemmeno in grado di compiere da sé l’onorevole suicidio, umiliandosi ancora una volta e portando a compimento la composizione della sua immagine di anti-eroe vinto dalla passione.
Tuttavia Antonio, invece di punirlo confiscandone i beni, ordina che questi gli vengano immediatamente consegnati. 
D’altronde anche Ottaviano, pur vincitore, mostrando il suo animo nobile, non riserva ai morti un trattamento indegno, anzi li seppellisce con tutti gli onori meritati.

L’ambiguità dei personaggi non consente di ricavare una morale univoca. Riconoscimento dell’ineffabile forza vincente della passione? Amaro riconoscimento da parte dell’autore della costante sconfitta dell’umanità di fronte al potere? Come sempre Shakespeare, con uno stile fluido e di grande altezza poetica, instilla il dubbio, lasciando allo spettatore/lettore l’arduo compito di rispondersi.




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